C’era una volta un bambino di nome Yussuf, che viveva in un piccolo villaggio in una terra molto lontana. Yussuf era l’unico bambino del villaggio e quindi non aveva nessuno con cui giocare. Ogni giorno Yussuf pregava gli dei di mandargli un compagno di giochi, ma nessun dio lo ascoltava. Un giorno andò al vicino ruscello a pregare Amilla, la dea dell’acqua, ma l’unica risposta che ricevette fu il rumore del fiume che scorreva. Il giorno dopo salì sulla montagna per pregare Youtu, il dio del cielo, ma nel silenzio sentì solo il soffio del vento. Provò con Kallah, il dio del fuoco e Kishna, la dea della terra. Niente. Yussuf non ebbe risposta da nessuno di loro.
Quando non pregava gli dei, Yussuf giocava con un piccolo scalpello che gli aveva regalato suo padre, che di mestiere lavorava la pietra. Yussuf scolpiva i sassi che raccoglieva lungo il suo cammino e, settimana dopo settimana, mese dopo mese, era diventato incredibilmente bravo. Quando pregava Amilla, si immaginava i suoi lunghi capelli fluenti mossi dall’acqua ed i suoi limpidi occhi azzurri. E trasformava le sue visioni in piccole statue di pietra: il possente Youtu che con la sua forte mascella soffiava via le nuvole dal cielo; Kallah, magro e guizzante che ballava al ritmo delle fiamme; Kishna, rotonda e sorridente, rivestita dal suo manto di foglie. Yussuf aveva scolpito una statua per ognuna delle divinità che aveva pregato.
Yussuf aveva nascosto tutte le sue sculture in una buca che aveva scavato nel giardino dietro casa, perché era troppo timido per mostrarle a qualcuno. Un giorno suo padre, che era andato in giardino a prendere degli attrezzi di lavoro, inciampò per caso nella buca creata da Yussuf e, con sua grande sorpresa, trovò le statuette che vi aveva nascosto suo figlio. Wako (questo era il suo nome), che di pietre si intendeva, non poté fare a meno di ammirare la bellezza di quelle statue, così ricche di dettagli, da sembrare quasi vive. Wako andò da suo figlio per chiedergli se sapesse di chi fossero quelle statue e Yussuf, senza riuscire a guardarlo negli occhi, gli confessò che le aveva fatte lui. Yussuf disse al padre che aveva scolpito le statue degli dei che pregava ogni giorno, perché desiderava tanto un compagno di giochi. Wako abbracciò dolcemente il figlio e disse che lo avrebbe aiutato a realizzare il suo desiderio. Prese le statue e le portò al capo villaggio, anche se Yussuf non era molto contento di mostrare ad altri le sue opere. Il capo villaggio, un uomo molto anziano e molto saggio, ascoltò la storia di Wako e, meravigliato dalla bellezza delle statue, decise di far costruire un piccolo tempio dove esporre le statue, come omaggio agli dei e alla bravura del bambino.
Un giorno un mercante, che passava dal villaggio per scambiare le sue stoffe, vide il tempio, entrò e rimase meravigliato dalle statue che vi erano al suo interno. Il mercante chiese al capo villaggio chi fosse l’autore delle sculture e rimase ancor più stupito di sapere che fossero opera di un bambino. Il mercante volle incontrare Yussuf, il quale però si era allontanato per pregare uno dei suoi dei in chissà quale luogo fuori dal villaggio. Dovendo ritornare a casa, allora promise al capo villaggio che sarebbe tornato per incontrare il bambino.
Nel frattempo Yussuf continuava ogni giorno a pregare gli dei, per chiedere loro un compagno di giochi, e a scolpire le sue statue, che venivano poi portate nel tempio e per essere poste accanto alle altre.
Dopo qualche giorno che il mercante era andato via, al villaggio arrivarono due persone, venute per vedere le meravigliose statue degli dei scolpite dallo straordinario scultore bambino. E dopo queste due persone ne vennero altre cinque. E poi dieci. E poi trenta. Ed il villaggio divenne meta di viandanti che venivano ad ammirare le statue nel tempio ed a pregare gli dei. Ma nessuno riuscì a vedere Yussuf, perché era sempre troppo impegnato a scolpire le sue statue e a chiedere agli dei un compagno per giocare.
Dopo qualche settimana anche il mercante Jalah (questo era il suo nome), come promesso, tornò al villaggio, questa volta con tutta la sua famiglia, sua moglie Hafa ed una bambina, più o meno dell’età di Yussuf. Questa volta il mercante, deciso a conoscere il bambino che scolpiva le statue degli dei, decise di fermarsi al villaggio finché non lo avesse incontrato.
Quando, al tramonto, Yussuf tornò a casa, sentì da fuori la porta che suo padre stava parlando con qualcuno (Jalah il mercante, ma lui non poteva conoscerlo) e, non volendo disturbare, decise di andare direttamente nella sua stanza entrando dalla finestra sul retro. Quando entrò nella sua stanza Yussuf vide che c’era qualcuno. Era una bambina, più o meno della sua età, che stava giocando con le statue che Yussuf ancora non aveva finito di scolpire. Anche se non l’aveva mai vista, a Yussuf sembrava di conoscere quella bambina. Aveva i capelli fluenti di Amilla dell’Acqua, lo sguardo fiero di Youtu del Cielo, il corpo sottile di Kallah del Fuoco ed il sorriso gentile di Kishna della Terra. La bambina, non appena vide Yussuf entrare nella stanza, si voltò verso di lui e gli disse:
“Ciao, sono Maya. Vuoi giocare con me?”
di Giuseppe Mazzola
L’immagine in copertina è tratta dal lungometraggio animato “Kirikù e la strega Karabà”
Published by