Eliana perchè portare il gatto con gli stivali alla Vuccirìa?
Il gatto con gli stivali era una delle mie favole preferite da bambina. Ricordo benissimo di aver sfogliato centinaia di volte un piccolo albo illustrato che mi avevano regalato e che mi incantava ad ogni cambio pagina. Questo gatto, a dir la verità, non mi stava particolarmente simpatico (del resto anche nella vita potrei definirmi una “canara” piuttosto che una gattara).
Eppure, tra tutti i personaggi della favola, mi è sempre sembrato il più lungimirante e l’unico in grado di barcamenarsi tra stolti padroncini, nobili classisti ed egoisti, umani in preda alla sorte, buona o nefasta, senza però dare una direzione libera alle proprie vite. Insomma, il gatto mi appariva, già da bambina, un risolutore di problemi in grado di mettere a tacere l’idiozia dei più.
Quando abbiamo creato Ideestortepaper, la casa editrice di cui sono co-fondatrice, abbiamo deciso di lavorare a un primo divertissement narrativo: la riscrittura di alcune favole classiche. Per me è stata naturale la scelta del gatto con gli stivali e soprattutto immaginare che questa storia potesse vivere, in un tempo non meglio precisato, nei vicoli e nelle strade del centro storico di Palermo e, in particolare, tra quelle del mercato della Vucciria. Perché?
Perché sono luoghi che conosco bene, che ho frequentato e che esprimono un concentrato altissimo di umanità, sgangherata, a volte malandrina e sbruffona, ma anche molto solidale e legata alla propria identità. Insomma, una summa della palermitanità più autentica con pregi e difetti, tutti visibili; proprio come gli strati storici e culturali di questa città. Allora mi sono detta: proviamoci!
Vediamo come ribaltare personaggi e situazioni e quale arduo compito attribuire al gatto con gli stivali della Vucciria. Da lì è stato naturale e anche molto divertente immaginare questo piccolo racconto, uno dei primi a diventare un albo illustrato della nostra casa editrice. Per fortuna non sono stata la sola a divertirsi e anche tanti lettori e lettrici, amandolo e ridendo delle avventure del gatto, lo hanno fatto diventare un libro cult a Palermo.
La Vuccirìa e le strade di Palermo legate a tradizioni soprattutto culinarie, in questo racconto in cui ci sta tanto umorismo e sentito popolare c’è un grande omaggio alla città?
C’è soprattutto la volontà di raccontarne la sua parte più colorata e sappiamo bene che la gamma di colori è ampia e varia. Non bisogna mascherare quelli più accessi e sfavillanti e neppure quelli più oscuri e inquieti. Nei colori della Vucciria c’è l’asprezza della vita ma anche la sua incredibile e sorprendente meraviglia. Il cibo è un grandissimo elemento narrativo, specialmente per comprendere la storia di questa città, che non per niente è una delle dieci città al mondo più rinomate per la bontà del suo cibo da strada, lo street food come lo chiamano tutti ora. Ma pane ca meusa, panelle e crocchè, rascatura, stigghiola e arancine, sono molto poco modaiole e molto più visceralmente legate agli stomaci e all’identità dei palermitani. Non a caso la prima cosa che si fa quando viene un “forestiero” a trovarci e portarlo in giro per i mercati storici e fargli assaggiare tutte queste prelibatezze, rigorosamente fritte e unte!
Il gatto è un po’ detective e forse un po’ killer, trova sempre la soluzione giusta?
Se fosse un genere letterario potremmo definirlo un noir mediterraneo ironico. Non definirei il gatto un killer; in fondo è la conseguenza degli eventi in cui si trova coinvolto che lo “obbliga” a compiere degli atti anche molto crudeli. Certo, il povero Chiluzzo non fa una bella fine, eppure mi sono immaginata che potesse esalare il suo ultimo respiro nel momento del compimento della sua stimata professione: ovvero alle prese con una padella gigante nella quale sfrigolavano, sull’olio bollente, panelle e crocchè, l’oro di Palermo. Il gatto va dritto per la sua strada, sa che il suo benessere dipende anche da quello di altre persone, non solo del suo sfaticato padroncino Tanino. E allora non gli resta che camminare veloce, passo dopo passo, sulle balate bagnate della Vucciria, con i suoi grandi stivali, desiderando però starsene solo un po’ tranquillo a godere della bellezza della sua città. In fondo, il gatto è il mio alter ego felino.
Sogni di padri e di figli, ogni tuo personaggio insegue il suo sogno?
In realtà alcuni sogni sembrano infrangersi oltre i limiti della propria volontà. Tanino, ad esempio, non vuole fare il panellaro, sogna di fare il ballerino ma alla fine non farà né l’uno né l’altro, perché non insegue realmente i suoi sogni. Spesso i personaggi della storia sembrano essere spettatori passivi del fato e degli eventi che accadono e li coinvolgono. Però, nella risolutezza e nel pragmatismo del gatto si ritrova anche il senso della conquista, dell’inseguire e impegnarsi a fondo per raggiungere i propri obiettivi. Il gatto è la nostra guida verso i nostri desideri e le nostre passioni.
Raccontare storie per bambini quanto è impegnativo e quanto divertente?
È impegnativo e difficile se si prova a scrivere per i bambini come “esercizio di stile” o come obbligo; diventa più naturale e senz’altro divertente se si scrive per il gusto di scrivere. Voglio dire che io penso prima di tutto al piacere della scrittura, che mi consente di usare più registri e linguaggi; che a volte si presta più a un pubblico adulto, a volte a un pubblico bambino. I bambini non sono stupidi e se hanno buoni genitori, vuole dire che non lo sono nemmeno questi. Se si realizza un libro per bambini ruffiano o che cerca di accontentare una tendenza, se ne accorgono sia i bambini sia gli adulti.
Credo che il successo del gatto sia dovuto al fatto che non è propriamente un libro per bambini, ma è un libro che bambini e adulti leggono insieme.
Le illustrazioni di Rosa Lombardo disegnano le tue parole, com’è stato il vostro lavoro insieme?
Le illustrazioni di Rosa Lombardo sono una parte fondamentale del libro. Ci siamo molto divertite nell’immaginare le tavole che lo compongono e il lavoro fatto insieme è stato contraddistinto da molte risate, intervallate (ovviamente) da molte panelle e crocchè per ritemprarci! Rosa è riuscita perfettamente a riprodurre gli umori, i colori, i profumi della Vucciria e del mio racconto. E soprattutto a dare un segno “malandrino” al gatto nivuru più famoso della Vucciria. Non credo che avrebbe potuto rappresentarlo meglio di così: fiero, con le mani sui fianchi e pronto a far volare in aria gli stivali per lasciare spazio a dei freschi e ben più comodi infradito!
Intervista di Cristina Marra per Global Press Italia
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