<<Perché, vedi, quello che non va è proprio questo. Il tuo modo di vedere le cose! Per te non c’è alcun problema fra di noi, assurdo!>>
Non capisco cosa abbia Irene. Fino a due minuti fa stavamo pomiciando con grazia. Mi piaceva particolarmente farlo qui, sulla panchina di Via Libertà, a due passi da casa, con le macchine che ci ammiravano avvinghiati, jeans sui jeans, mani nelle mani, lingua a lingua, arrapati. Cos’è successo?
<<Tu non capisci cosa passi nella testa di una donna. Nel senso, non mi sento capita, capisci?>>
No che non capisco. Che diavolo dice? All’improvviso ricordo che doveva parlarmi. Prologo. Casa mia. Me ne sto a sfogliare il catalogo Ikea seduto al cesso come tante altre volte dopo pranzo, quando l’inconfondibile suoneria del cellulare collegata a una splendida foto di Irene mi fa saltare in aria: <<Irene, amore, che sorpresa! Ma non mi avevi detto che ti saresti messa un po’ a letto?>>, <<Devo parlarti. Ci vediamo alla panchina tra un’ora>>. Ed eccoci qui dunque, un’ora dopo. Cominciamo a pomiciare, e per il calore che sento tra le gambe mi pare voglia propormi di farlo sulla panchina, davanti a tutti. E invece apre un discorso che non ha né capo né coda. Che le prende?
<<Non mi guardare così, come stessi cadendo dalle nuvole… Sai che giorno è oggi? Ricordi?>>
E no che non mi ricordo! Sto in allarme sto… che diavolo di giorno è? Aspetta, è martedì o mercoledì? Siamo a dicembre, questo lo ricordo, le luminarie dei negozi per fortuna mi aiutano a collocarmi nel tempo e nello spazio. Immagino debba azzeccare una ricorrenza. Ci siamo messi insieme a marzo del 2014, il giorno esatto il 25, dunque non è un anniversario. Perché incazzarsi così? Voglio dire, fa gli anni ad aprile, non è nemmeno il suo compleanno!
<<Incredibile, non ti ricordi! Che merda che sei! Oggi dovevo andare dal dentista, te ne ho parlato la settimana scorsa. Non mi hai nemmeno chiesto come è andata! E questo soltanto per farti un esempio! Voglio dire… non ti ricordi mai un cazzo che mi riguardi! Pensi soltanto a te stesso!>>
Ma diavolo di un capello! Come cazzo facevo a ricordarmene? In una singola conversazione apriamo in media quindici diversi argomenti, numero che va moltiplicato per numero dieci conversazioni al giorno. Come facevo a ricordarmi di una cosa detta en passant una settimana fa? Perché mi sta facendo questo!?
<<E poi mi sento in gabbia capisci? Dici sempre che ognuno di noi ha bisogno dei suoi spazi! Ma non puoi lasciarmi uscire sempre da sola con le amiche! Ho bisogno di stare con te, di vivere con te la quotidianità! Di annoiarmi insieme a te maledizione!>>
Ma se è stata lei a rifiutare la mia proposta di convivenza! Irene sta andando fuori di testa. È stata lei a dirmi che si sentiva in gabbia nella vita di coppia, che aveva bisogno dei suoi spazi. Che la routine di coppia è l’anticamera dell’ospizio. Per quale cazzo di motivo si sente in gabbia adesso?
<<E poi diciamoci la verità! A letto non è più come una volta! Prima c’era il mistero, scopavamo di nascosto ai miei, in camera mia. Adesso sempre a casa tua, e che palle! Vedi, la differenza tra me e te è che io non ho timore di prendere argomenti scomodi! Mi metto in gioco io!>>
Ma se due notti fa siamo stati a scopare quattro ore di fila! Dal divano alla cucina, dalla lavatrice al tappeto. Si è perfino appesa a un lampadario! Tre orgasmi ha avuto, dico tre!
<<Eh, mi guardi sorpreso… lo so, sono una donna esigente io! Vedi, io ho bisogno di situazioni nuove, di nuove atmosfere… E poi c’è il fatto che non mi sostieni. Non ti piace il mio lavoro, guarda che l’ho capito! Mi fai sentire una merda! Io quel lavoro me lo sono guadagnato col sudore della fronte! Nessuno mi regala niente, hai capito? Te ne stai lì spocchioso a guardare tutti dall’alto in basso solo perché sei un creativo tu, uno che inventa le pubblicità e ha il culo di prendere dei bei soldoni per una fottuta buona idea! Guarda che non tutti sono fortunati come te!>>
Ma porco di quel boia! Piangeva perché non voleva andare a lavorare nello studio di commercialista di sua zia! Sono stato io a incoraggiarla, a dirle che sarebbe stata un’esperienza professionale importante. La paga pure bene! Non la sostengo? Incredibile. E poi perché mi dà dell’arrogante?
<<Cazzo, mi fai piangere… non vedi quanto soffro? Ma tanto a te non frega nulla di me…>>
Dice sul serio? Ma se quando tento di abbracciarla mi respinge!
<<Non toccarmi! Io non ce la faccio più… Mi dispiace Antonio, per me la nostra storia finisce qui, addio!>>
Me l’ha detto come Ilary Blasi al Grande Fratello. “Per te il Grande Fratello finisce qui!”. Ma che fa, corre? Irene, aspetta! Non ci credo. Se n’è andata.
<<Ehi amigo! Aggendini? Custodia ifon? Guarda bello amigo…>>
<<Cristo Santo, no!>>
Alla mia esclamazione il vucumprà si allontana spaventato. Mi guardo attorno e mi sento solo. In Via Libertà. Alzo il bavero del cappotto e mi incammino. Do un’occhiata distratta al Politeama e al grande albero di Natale che lo sovrasta. Proseguo per via Ruggero Settimo fino al Massimo. Compro sei castagne a tre euro, ladri. Rompo la scorza dura delle castagne con la forza bruta delle dita e le mangio con avidità. Quindi accendo una sigaretta e mi dirigo verso i Quattro Canti. Seguo con gli occhi una voluta di fumo, e non mi accorgo di perdermi in mezzo alla folla.
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