PIERALVISE SANTI, IN ARTE OCCHIALISPESSI

Il viaggio all’interno del mondo degli illustratori della casa editrice continua con Pieralvise Santi. Pieralvise ha illustrato:

A che età è nata la passione per il disegno e come ti sei avvicinato al mondo dell’illustrazione?

Da bambino era molto forte la passione per il cartoon: soprattutto i maestri Enzo D’Alò e Chuck Jones, e tra gli illustratori Altan e i fumettisti italiani e americani della scuola Disney.
Più tardi, alle superiori e all’università, ho cominciato ad interessarmi anche all’arte modernista e contemporanea, salvo poi accorgermi che questi due mondi erano in realtà…la stessa cosa! Ho quindi iniziato a realizzare libri e disegni in cui cercavo di con-fondere arte visiva e sequenziale, mostrando come fossero due facce di un’unica medaglia.

Qual è la tecnica che usi per le tue tavole? E come sei arrivato a questa scelta artistica?


Mentre studiavo all’Accademia di Belle Arti di Bologna ho provato tantissime tecniche, dalla pittura (acquerello, acrilici, oli), alla grafica d’arte (acquatinta, monotipia, xilografia), al disegno (china a tratto, grafite, matite colorate), al digitale. Tutto ciò, mentre adottavo i più svariati stili modernisti: li ho attraversati praticamente tutti. Alla fine, ho scelto le matite colorate, che mi consentono di fondere pittura (il colore) con il disegno (la linea); per lo stile mi rifaccio a Roy Lichtenstein, che ha fatto coincidere tutto il modernismo con il cartoon.

Descrivi il luogo in cui sei solito lavorare e quali sono i tuoi strumenti.

Vivo e lavoro sulla Riviera del Brenta, circondato da ville venete e architetture postmoderne: un paesaggio dove antico e moderno sono fusi assieme. Disegno albi e fumetti senza parole, e scrivo articoli critici, nel mio studio e talvolta anche nella biblioteca di Oriago: sempre e comunque, quindi, circondato dai libri. Scrivo al computer e disegno su carta; lavoro artistico e saggistico per me sono la stessa cosa, così come non avverto nessun tipo di frattura tra il supporto analogico e il digitale.

Da dove trai ispirazione per creare i tuoi lavori?

Le ispirazioni sono le più svariate, ma sempre da cose che esistono o sono esistite: ad esempio, la storia del modernismo, fino alla svolta postmoderna, in Mister Morris.
Anche nei progetti che l’hanno seguito, nessuno dei “testi” che prendo per le mie analogie sono originali – cioè, inventati da zero: il videogame GTA nel fumetto Mirano Theft Auto, il gioco m’ama non m’ama nell’albo illustrato Petali, la struttura a mappa della metropolitana nel mio ultimo, sperimentale e rizomatico libro Sette Linee.

Ti senti soddisfatto del risultato o stai sperimentando nuovi linguaggi?

Dopo la laurea magistrale, ho iniziato a sperimentare con la narrazione senza parole, in cui testo e immagine sono la stessa cosa e, nelle mie storie, le tradizionali dicotomie si trovano a coincidere: animale/umano (i personaggi di Mister Morris), reale/virtuale (le vite vere e videogiocate attraverso Mirano Theft Auto), mente/materia (il fiore come memoria in Petali), spazio/tempo (le vignette fermate della metropolitana con Sette Linee) e, come già detto, modernismo/cartoon, attraverso la ripresa dello stile Pop di Roy Lichtenstein.

Quali sono i tuoi desideri e progetti per il futuro?

Mi piacerebbe molto che la mia ricerca, narrativa come illustratore e fumettista, e critica come saggista, diventasse un lavoro tout court.
Intuizione (artistica) e descrizione (critica) sono per me equivalenti, e uso la prima quando scrivo, e la seconda quando illustro: in futuro non vorrei fare altro.

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